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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Claudio Facchinelli. Critico teatrale. Firma per “Sipario” dal ’96 la rubrica “Sipario Scuola” e servizi su festival specie quelli dedicati al nuovo teatro.

L’ho invitato a salire sull’Enterprise perché lo considero una delle intelligenze più vive fra i critici italiani, capace di fulminanti sintesi dovute ad una cultura che spazia dallo scientifico al letterario al musicale.

Ha collaborato negli anni ‘70 come assistente alla regia con Orazio Costa Giovangigli e Lamberto Puggelli, riportando successivamente tale esperienza nella scuola, con l’attivazione di laboratori teatrali. Già, nella scuola. Oltre, infatti, come docente ha lavorato presso l’ufficio Studi e Programmazione del Provveditorato agli studi di Milano, ove ha sostenuto e promosso la pratica del teatro come strumento di prevenzione del disagio giovanile e ha partecipato alla stesura del protocollo d’intesa per l’educazione al teatro, siglato nel settembre ‘95 dal Dipartimento dello Spettacolo, il Ministero della pubblica istruzione e l’ETI.

Ha progettato e realizzato, per conto dell’IRRSAE (Istituto Regionale per la Ricerca, la Sperimentazione e l'Aggiornamento Educativi), ora IRRE, e di vari Provveditorati agli Studi, ricerche, rassegne, convegni e corsi d’aggiornamento e formazione sul teatro della scuola.

A proposito dell’IRRE, voglio aggiungere una nota: quegli Istituti – ce n’era uno per ogni Regione – nacquero negli anni ''70 da quelle norme che, sull'onda del '68, rivoluzionarono l'assetto organizzativo della scuola italiana. Dopo che il Ministero della Pubblica Istruzione è diventato Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, la Sperimentazione e l'Aggiornamento sono caduti (da qui le due lettere in meno dell’attuale sigla), e la loro importanza s’è di molto ridotta. Esistono ancora, ma ogni tanto si parla di eliminarli. Insomma anche lì la Moratti non s’è lasciata sfuggire l’occasione di provocare danni.

Torniamo a Claudio.

Ha pubblicato su testate quali Spettacoli a Milano, Segnali di fumo, Hystrio http://www.hystrio.it. Dall’autunno 2003 collabora con la rivista web www.tuttoteatro.com e Teatri delle diversità .

Ha redatto la voce “Teatro e scuola” del Dizionario dello spettacolo
http://baldini.editore.it/prodotti/index.aspx?az=1&ce=49&co=&ti=dizionario%20dello%20spettacolo&au edito da Baldini & Castoldi nel 1998.

Ha anche realizzato produzioni video del Dipartimento Scuola Educazione della Rai… poco male, si sa, nessuno è perfetto.

Da qualche anno è attivo in iniziative sulla memoria della Shoah: Voci dalla Shoah – testimonianze per non dimenticare di Goti Bauer, Liliana Segre e Nedo Fiano, 1995 La Nuova Italia, www.lanuovaitalia.it; e Un ragazzo ebreo nelle retrovie, di Luigi Fleischmann, 1999 Giuntina, www.giuntina.it, che ha visto una nuova edizione per la Ghisetti & Corvi http://www.ghisettiecorvi.it nel settembre 2003.

Una delle sue più recenti imprese la trovate cliccando su Cosmotaxi http://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/200408archive001.asp

 

Benvenuto a bordo, Claudio…
Però, mi piace questo tuo modo di accogliere gli ospiti, sulla porta di casa o dell’astronave, con un bicchiere in mano. Poi, sai, sono un vecchio piemontese gaudente, e in questo modo mi prendi subito per il mio debole…
Il sommellier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura , mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Barolo “Per Cristina” di Clerico, annata 1996, inviandomi anche una nota in spacefax che dice “è un ottimo vino se vi piace la singolarità delle note di cuoio-liquirizia-rosa-china-cioccolato. Uno di quei vini che farà di Domenico Clerico fra alcuni anni uno dei produttori più interessanti delle Langhe”… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Claudio secondo Claudio…
Forse, più che tentare di farmi il ritratto, potrei cercar di raccontarti come mi piacerebbe vedermi allo specchio. La mia aspirazione adolescenziale era fare il vagabondo e, in senso lato, dire che ci sono riuscito, non fosse altro che per la varietà di mestieri che ho fatto: l’insegnante di matematica al liceo, il preside di scuole sperimentali, l’assistente alla regia, il giornalista, il traduttore… ecco mi sta larga la qualifica di critico teatrale, con la quale mi hai presentato. Preferisco dire che sono uno spettatore professionale. Anzi, se dovessi qualificarmi direi che sono un dilettante professionale (bisognerebbe rivalutare il concetto di dilettante, nel senso pregnante della parola). Mi diletto ad esplorare la galassia degli uomini, e specialmente delle donne (Non ho mai fatto nulla per nascondere il mio interesse per l’altra metà del cielo, anche ora, che sto perdendo il pelo – ma non ancora il vizio).
Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?
Potrei rispondere con una battuta: è quello in cui non si sa in anticipo chi è l’assassino. Poi, a volte mi capita di scoprire che l’assassino è il regista, o il drammaturgo, ma è un pericolo che sono disposto a correre. Più seriamente potrei dire che fa teatro di ricerca chi rifiuta di adagiarsi su stilemi e registri collaudati, e accetta il rischio, anche quello di non trovare. Se cerchi davvero, e non fai finta, non è detto che trovi subito. E ricordiamo che, nella scienza come nell’arte, un esperimento non del tutto riuscito è molto più interessante, e contiene in sé molte più informazioni, di uno il cui esito era previsto.
Fra i gruppi del nuovo teatro di ricerca, quali sono oggi quelli che t’interessano di più? E perché?
Non sono indiscreto. Non voglio nomi. Solo cognomi.
Tu mi vuoi compromettere. Ma accetto la sfida. Intanto, il concetto di nuovo è relativo. Ma mi piace il modo con cui Ascanio Celestini ha saputo rinnovare la forma ormai abusata del teatro di narrazione, immettendovi uno stile che trae dalla sua formazione musicale. Mi pace il modo di scrivere di Renata Ciaravino. Mi piacciono quei giovani, come i Dionisi, che dopo anni in cui il teatro è rimasto in contemplazione quasi autistica del proprio ombelico, hanno riscoperto – scusate se poco, di questi tempi – l’impegno politico. Ma l’ultima piacevole scoperta l’ho fatta a Santarcangelo, quest’estate: due ragazze belghe (meno di cinquant’anni in due) che riescono o fare e a dire le cose più oscene e trasgressive con totale purezza di cuore, a inventare stupendi giochi di teatro sventrando un melone o tenendo una torcia elettrica fra le ginocchia. Il gruppo si chiama Buelens Paulina, ed è da tenere d’occhio.
Ti occupi da sempre di teatro della scuola e di teatro nel sociale (handicap, carceri). Questi ambiti hanno una contiguità col teatro di ricerca?
Direi di sì, per diversi motivi. Il più banale è che i modelli teatrali praticabili nel teatro del sociale sono (per motivi sia storici sia tecnici) più vicini al teatro di ricerca che a quello di tradizione. Poi, per alcune connotazioni di poetica e di metodo che li accomunano: la povertà, la coralità, la costruzione di una drammaturgia in situazione. E infine l’urgenza della comunicazione, la voglia e il bisogno di dire, a volte per rompere un oggettivo isolamento (pensa alle carceri, o all’handicap), caratteristica che ormai raramente si riscontra nel teatro di tradizione.
Qual è la cosa che ti fa venire la scarlattina quando la noti in teatro, di tradizione o d’avanguardia che sia?
Mi concedi due risposte?
Certamente sì
Lo stroboscopio. Lo vieterei per decreto (tra l’altro, spesso è usato anche male). E poi il vezzo di scrivere note di regia incomprensibili, con la punteggiatura creativa (cioè a capocchia), che non ti spiegano nulla, e ti fanno solo capire quali abissi di presunzione siano sottesi a certe operazioni drammaturgiche.
Oltre il teatro, in quale delle altre aree espressive credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
Sai, io sono un po’ un uomo delle caverne, che scrive con la stilografica Omas, a stantuffo, che si è convertito con qualche difficoltà al computer (vedi? lo chiamo ancora così), che non possiede il cellulare. Polemizzo spesso col mio amico Carlo Infante, dicendogli che le infinite potenzialità dell’informatica non mi interessano e che, anzi, un po’ mi ripugnano. Detto questo, apprezzo molto il meticciato. Mi piace il modo con cui Giallo Mare Minimal Teatro o il Teatro di Piazza e d’Occasione coniugano teatro e nuove tecnologie, anche perché non rinunciano alla seduzione del magico, al calore dell’affabulazione. A Cascina ho visto Chantier – Musil, con la regia di François Verret: c’era dentro tutto: grafica computerizzata, danza, musica dal vivo ma, nonostante questa apparente accumulazione ipertrofica, si sentiva dietro un progetto rigoroso, ed è stato un vero godimento.
Da alquanti è messa perfino in discussione l’utilità dell’esistenza dell’Accademia D'Arte Drammatica. Di certo, in moltissimi esprimono riserve su come – aldilà del valore degli insegnanti – sono strutturati i programmi d’insegnamento. Tu condividi queste riserve? E, se sì, che cosa cambieresti? Quali novità d’indirizzo apporteresti?
Non ho seguito nello specifico il dibattito, anche se, dati i mie trascorsi di docente, il problema della didattica mi riguarda. Da persona che si occupa di teatro della scuola, vorrei segnalare l’opportunità di preparare degli operatori nel settore, che possano affiancare gli insegnanti – per me il teatro della scuola va fatto in regime di partenariato, a quattro mani – nella conduzione dei laboratori teatrali. Qualche anno fa avevo messo a punto un progetto che si doveva realizzare alla “Paolo Grassi”, una specie di corso post diploma, ma non se ne fece nulla. Se qualche accademia avesse voglia di prendere in considerazione l’idea – e, sia detto senza polemica, di rivolgersi anche a gente del mestiere, e non solo a docenti di storia del teatro – sarei onorato di offrire il mio contributo.
Teatro e scuola. Qual è oggi in Italia la situazione? E come siamo messi rispetto agli altri paesi europei?
Il discorso sarebbe lungo. Il MIUR, (il vecchio ministero della Pubblica istruzione) dopo almeno un tre di anni di silenzio, ha battuto un colpo, e ha lanciato qualche segnale di interesse. Ma diciamo che, a livello di base – come dicevano i miei vecchi amici sessantottini – la pratica del teatro nelle scuole è abbastanza vitale. Un rilevamento commissionato dal ministero tre anni fa (che è sfociato in un libro: Geografia del teatro scuola in Italia) ha censito quasi un centinaio di rassegne. Ed io ad Ostuni qualche mese fa ho assistito, ad una interessante rassegna nazionale di teatro della scuola (si tiene già da diversi anni) sul tema del mare, organizzata dal ministero delle Politiche agricole, cui partecipano annualmente varie centinaia di ragazzi delle scuole medie. Direi che non sfiguriamo rispetto ai partner europei.
Come ho ricordato presentandoti ai miei avventori, in questi ultimi anni hai lavorato sulla memoria della Shoah. Voglio sapere da te due cose: pensi che sia sentito oppure no in Italia questo tema? E ancora: ritieni che la scuola da noi faccia quanto dovrebbe per comunicare quella tragica storia ai ragazzi?
Quando incontro i ragazzi per parlare di questi temi, presentando una pubblicazione o uno spettacolo, li vedo partecipi e commossi. Con l’istituzione del Giorno della Memoria, la scuola fa qualcosa, ma l’obiettivo da porsi è che quel coinvolgimento non si esaurisca in una reazione emotiva, ma diventi patrimonio comportamentale, contribuisca a far sì che mai più, in nessuna parte del mondo, quelle cose abbiano ad accadere di nuovo (e invece continuano a ripetersi). Ma, ancora di più, è importante far riflettere che, ogni volta che blateriamo luoghi comuni sugli albanesi, gli zingari o gli arabi, o che parliamo senza carità degli sbarchi di clandestini a Lampedusa, ci incamminiamo sulla strada del razzismo, al fondo della quale ci sono i forni crematori di Auschwitz. Anche se ho una contiguità familiare con l’ebraismo, la tragedia della Shoah mi interessa fondamentalmente per il suo valore paradigmatico ed universale di violenza dell’uomo sull’uomo.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Vedi, ti sembrerà strano ma, a dispetto di una laurea in matematica e di una tesi in astronomia (l’osservazione di una stella binaria fotometrica), non mi sono mai avvicinato alla fantascienza. Mi stimola e mi incuriosisce come aspirazione dell’uomo a evadere da un mondo che gli sta stretto, a costruirsi utopie (che sono più necessarie del pane); come esaltazione estrema di quello spirito vagabondo nel quale, come ti dicevo all’inizio, mi identifico. Magari, in uno dei miei prossimi mestieri (o delle prossime vite), me ne occuperò…
Siamo quasi arrivati a Facchinèllya, pianeta scenico abitato da alieni che fin dall’età scolare si cimentano in ruoli teatrali e comunicano per tutta la vita attraverso battute estratte da copioni… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Barolo “Per Cristina” di Clerico consigliata dal sommelier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
Scendo volentieri, perché dovrei trovarci alcuni miei agenti. Non dirlo a nessuno, ma laggiù sto preparando un colpo di stato, e ho già pronta la bozza di una nuova Costituzione. Sarà vietato parlare di ruoli teatrali, battute, copioni. Voglio instaurare il principio del laboratorio di drammaturgia permanente; affermare il diritto di raccontare storie piene di rumore e di furore, che non significano niente, ma che nessun’altro ha scritto per noi. Non farmi gli auguri, perché fra teatranti non si usa, ma lasciami, come viatico, un paio di bottiglie del tuo barolo. Ti farò sapere.
Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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Sì, Facchinelli dice cose giuste sulla Shoà ma l'istituzione del Giorno della Memoria da lui sottolineato non è stato osservato ovunque e, cosa forse più importante, con la stessa partecipazione da parte di molti insegnanti. In questo, Facchinelli - ottimo nelle altre rispooste - qui m'è sembrato troppo tenero con la scuola italiana. Gloria Spizzichino

inviato da Gloria Spizzichino
 

precisazione, per dare a Cesare... il Ministero P.I. non ha punto realizzato "Geografia del teatro della scuola". Questo è stato un progetto ETI ( ente teatrale italiano) affidato ad Agita ( ass. nazionale per la promozione del teatro nella scuola e nel sociale) nel 1999/2000. La ricerca ha avuto la sua veste tipografica grazie all'ERT/Friuli V.G. nel 2001

inviato da Loredana Perissinotto
 

Ottima risposta quella data sulla contiguità (e i motivi che la terminano) fras teatro di aree del disagio sociale e quello dei gruppi di ricerca. Sono, invece, un po' perplessa circa lo stato di buona salute che Facchinelli profila per il teatro nelle scuole. Non ho la sua competenza, ma la mia esperienza di madre, qui a Genova, mi porta ad essere meno ottimista. Ma, lo ripeto, non ho le informazioni del critico intervistato. Inoltre, mi permetto d'esprimere un pensiero personale sul quale sono invce meno dubbiosa: l'accdemia d'arte drammatica D'Amico sforna attori già vecchi a vent'anni, pronti (quando ce la fanno e non restano disoccupati) a immergersi in un tran tran privo di curiosità, con vecchie concezioni del teatro e della professione, insomma commendatori panciuti già a quell'età. Cordiali saluti agli intervistati (ho letto anche quanto dice assai bene la turchetto), ai lettori. Grazie x lo spazio. Buon lavoro. Benedetta Savio

inviato da Benedetta Savio
 

 

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